Guerra ? PACE ! PACE ! PACE !

E cosi’, adesso, a venticinque anni dalla “Guerra del Golfo”, dovro’ di nuovo tornare in Iraq a cercare una pace possibile invece di accettare, come troppi fanno, la guerra in atto come inevitabile?

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Ora che, con grave ritardo, dopo aver quasi dimenticato le stragi di anni fa a New York e poi a Madrid ed altrove, solo dopo le stragi piu’ recenti in Francia e Danimarca ci rendiamo tutti improvvisamente conto che davvero la guerra c’e’ ed e’ davvero orribile, ci preoccupiamo solo di combatterla e vincerla e discutiamo solo di come e dove e quando e chi si deve uccidere.

Quasi nessuno si preoccupa, invece, di capire il perché di questa nuova guerra, incredibilmente esplosa proprio mentre in Europa ed in tutto l’Occidente, dopo le terribili due scorse guerre mondiali, finalmente si pensava “niente piu’ guerre” e qualcuno, ora tradito dal nuovo dittatore Renzi, si era persino spinto a scriverlo nella Costituzione.

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In qualità di membro operativo per il Medio Oriente della Lega per il Disarmo fondata da Carlo Cassola, ci volai due volte in Iraq, subito prima e subito dopo la guerra di allora, quella “del Golfo”.  La seconda per portare medicinali di uso pediatrico e, una volta giunto a Bagdad, riuscii a portarli ovunque in Iraq: tra i Sunniti, al centro, e poi fino a Bashra, al sud tra gli Sciiti, e fino a Kirkuc tra i Curdi del nord.

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Non dico che portare tutti quei medicinali in una notte con un camion a fari spenti da Amman a Bagdad violando le ingiuste sanzioni per salvare i bambini feriti nei bombardamenti americani sia stato uno scherzo, ma la prima volta, quella prima dell’arrivo dei missili su Bagdad, fu certamente più rischiosa.

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Quella prima volta, con i rappresentanti di altre organizzazioni umanitarie di tutto il mondo come Medecine sans Frontiere, per cercar di evitare la guerra praticammo una diplomazia parallela a quella degli Stati (secondo noi infida e comunque inefficace) che chiamammo Diplomazia dei Popoli.

A fine dicembre del ’90, per entrare in Iraq – un Paese appena uscito da un decennio di guerra di contenimento dell’allora emergente integralismo religioso sciita iraniano e, dopo solo un respiro, in crisi prebellica (ufficialmente a causa dell’invasione del Kuwait da parte irachena) – ci consegnammo al regime come ostaggi e scudi umani a condizione che Saddam Hussein, leader iracheno di quel tempo, avesse in cambio liberato i centocinquanta lavoratori stranieri presi in ostaggio per proteggersi dai missili.

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Incredibilmente, Saddam Hussein accetto’ subito la proposta e libero’ i centocinquanta padri di famiglia presi in ostaggio dopo le minacce americane ed essi poterono tornare sani e salvi alle loro famiglie, anche italiane: davanti alle telecamere Rai, Buttiglione e Formigoni li ricevevano in aereoporto, contenti, assumendosi il merito della loro liberazione e non dicendo perche’ Saddam li avesse liberati e cioe’ che, in cambio di questi liberati, c’erano ora altri ostaggi in Iraq.

All’insaputa dei media ufficiali occidentali, venimmo posti sotto custodia e trasferiti in un campo militare iracheno nel deserto del sud dell’Iraq a ridosso del Quwait, nel punto dove l’intelligence irachena pensava gli americani avrebbero sfondato per invadere l’Iraq: un accampamento militare iracheno circondato di filo spinato con dentro non soldati armati, a parte i nostri guardiani, ma solo noi ostaggi sorvegliati a vista.

Di notte vedevamo in cielo l’alone di luce della base militare americana dall’altra parte di una grande duna a ridosso del confine e la mattina sentivamo gli altoparlanti che diffondevano musica ed ordini per i marines all’alzabandiera, il tutto ad un mezzo kilometro da noi in linea d’aria oltre la duna: ci volevano nervi saldi per accettare la prospettiva di esser presto sbudellati dagli americani, ma per fortuna viaggio sempre con la chitarra e chiesi un colloquio al comandante di coloro che ci custodivano.

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Cantavo ogni tanto, anche li’ al campo, per ingannare il tempo con gli altri prigionieri ed anche le guardie si erano ogni volta volentieri intrattenute, cosi’ mi fu facile al colloquio dire che, invece di morire inutilmente in quel campo sperduto nel deserto, avrei preferito morire a Bagdad cantando per i bambini dlle scuole elementari in attesa dei missili americani. Fu cosi’ che il comandante del campo riferi’ per telefono la mia proposta ai suoi superiori e la mattina dopo, all’alba, ero gia’ su una camionetta dell’esercito iracheno, con la mia chitarra, in viaggio per Bagdad. 

 A Bagdad vivevo, isolato dal resto della citta’ ed insieme sorvegliato e protetto, in un residence da tempo disertato dai turisti data la situazione, assieme ad un simpatico cardinale irlandese che si occupava dei rifugiati e dei profughi per conto delle Nazioni Unite, con cui scambiavo piacevoli momenti di comunicazione davanti a una tazza fumante e, talvolta, persino di lucida con/vers/azione sulle esigenze umanitarie del momento). Da li’, ogni giorno, dopo le abluzioni e i riti mattutini e la colazione, le guardie mi accompagnavano in una scuola ogni volta diversa ed al contempo uguale alle precedenti ed ogni volta c’era uno strano incanto nell’aria tersa ed un bel sole, pur essendo inverno, nel cielo della vecchia Mesopotamia, e la sua bella luce illuminava quei giorni nel modo piu’ degno.

Una scuola per bambini ogni mattina diversa, dicevo, ma tutte al pianterreno e tutte ugualmente fatte in modo che, varcato il cancello d’ingresso (ai cui pilastri le mie due guardie restavano ogni volta appoggiate a fare il loro lavoro, cioè a guardare), accedevo con la chitarra in mano ad un luminoso gran cortile a cielo aperto, attorniato da una chiostra su cui si aprivano le porte delle aule delle classi. Ogni mattina, quasi fosse un miracolo, ma credo accedesse perché ogni volta le mie guardie, gia’ dall’ingresso, per farsi aprire, motivavano il perché della nostra presenza innescando di fatto una sequenza di operazioni, felicemente per tutti, centinaia di bambini mi correvano incontro da ogni direzione lasciando le loro maestrine a sorridere sulle porte aperte delle classi al fresco della chiostra. Dico felicemente per tutti, non solo per quei bambini e le loro insegnanti ma anche per me (e per i miei due guardiani, che si trovavano a passare un momento intenso e piacevole) e, in fondo, anche per tutti coloro che vogliono la pace.

Mi rende anche oggi felice il fatto che ogni mattina, non appena mi lasciavo le due guardie al cancello e facevo, da solo, i mie primi dieci passi con la chitarra verso il centro del cortile – ecco il miracolo – in quella scuola, cosi’ come in un’altra scuola era accaduto il giorno prima, ogni volta suonava improvvisa e potente la campanella elettrica centrale e – questo l’incanto – in pochi secondi si aprivano le porte di tutte le classi e uno sciame frullante di bambini sorridenti mi correva incontro da ogni lato e mi circondava, mi ondeggiava attorno in cerchi appoggiandosi a se’ mentre cantavo e, al termine di ogni brano, come uno scialle morbido mi sciamava addosso grato e felice ma, presto, tanto compatto da dover io ogni volta, a malincuore, sottrarmi all’abbraccio per non soffocare ed avere lo spazio necessario a cantare il brano successivo. Ho provato una gioia che avevo dimenticato e non provavo da quando, nei primi anni settanta del novecento, mi trovai a Napoli, zone Cavalleggeri e Secondigliano, assieme allo scomparso mio grandissimo amico e compagno e collega cantastorie Alfedo Bandelli, a cantare per strada per i bambini poveri su suggerimento e personale guida di Cesare Moreno, un amico mio santo scalzo ma a volte anche coi sandali, e di Geppino Fiorenza, entrambi ideatori e fondatori della preziosissima Mensa gratuita per i bambini poveri di Napoli (e di essa gestori assieme ai molti incredibili fratelli di Geppino ed alla ora scomparsa e per migliaia di persone ancor cara Carla Melazzini e, infine, con l’appoggio incondizionato di una banda di intellettuali socratici praticanti legata ai Fiorenza tra i quali emergeva il Goffredo Fofi futuro saggista e critico cinemetografico nazionale): ci fecero cantare, Alfredo e me, tra grappoli di bambini gioiosi e festanti che, entusiasti del nostro fare istrionico musicale, ci si aggrappavano addosso ridendo e cantando, ma fu una cosa di un solo giorno.

A Bagdad invece la cosa ando’ avanti cosi’ per un decina di giorni e piu’ e, gia’ dal secondo e dal terzo giorno ancor piu,’ cominciarono a parlarne i giornali di Bagdad, io lo lessi sull’allora unico quotidiano locale in lingua Inglese, il Bagdad Observer, e passo’ ancora un giorno prima che il ministro per gli affari esterii iracheno, l’ex ambasciatore in Italia Mohamed Al Saaf, sempre vicino agli artisti, mi convoca al ministero e si mostra sincero ammiratore del mio gesto pacificatore. Da quel pomeriggio in poi e spesso anche di sera, l’occhio dei due guardiani su di me si rilassa ed ora, dopo rientrati dalla mattinata alle scuole ed aver pranzato, frequento liberamente artisti adulti e affermati ed altri, giovani ed ancora studenti della locale accademia di belle arti, mi avventuro con loro nei loro studi e laboratori, passo la sera con loro nei ristoranti sul Tigri ed il dopocena nei freschi bar coi tavolini fuori nei giardini, i bar che essi frequentano all’interno di una inebriante movida notturna, giovanile e colta: mi par d’essere felice come ero da ragazzo in autostop a Parigi, Londra e Stoccolma a meta’ dei favolosi anni ‘sessanta e, come da ragazzo feci altrove, visito entusiasta con i miei nuovi amici di Bagdad la loro accademia e i musei cittadini piu’ preziosi tra cui quello archeologico, poi semidistrutto dai bombardamenti americani, e gallerie pubbliche e private di arte contemporanea colme di cose supreme e, un paio di volte, vado anche, da invitato, a feste private dove accolgo confessioni e sogni di molti come mi accadde prima solo in altre capitali dell’arte ma, tutto questo, mentre la situazione precipitava verso la catastrofe minacciata dei missili americani, autorizzata dall’Onu a scadenza imminente, ed a Bagdad il Presidente Saddam Hussein ed i suoi ministri restavano decisi, caparbbiamente, a non uscire dal Quwait malgrado l’ultmatum dell’Onu.

Ben presto, da quel momento l’intelligence irachena arrivo’ a convincersi, irrimediabilmente in ritardo sul piano bellico, che le minacce americane erano serie e che non ci sarebbe stata una invasione di terra, ma terribili incursioni aeree di velivoli militari americani, basati in terre islamiche fuori dall’Iraq, e micidiali missili lanciati dalle portaerei amercane che incrociavano nel mare del Golfo Persico: i miei amici ostaggi senza chitarra, ancora prigionieri a fare inutilmente da scudi umani nel campo militare iracheno al confine col kuwait, furono subito portati a Bagdad ed alloggiati nel residence turistico semideserto ma funzionante assieme a me e al simpatico cardinale irlandese con cui avevo passato una buona quindicina di giorni, uno di loro’ una militante pacifista italiana del Piemonte, amica di Bersani, fu autorizzata su sua richiesta a seguirmi un mattino in un’altra sxuola elementare dove andavo a cantare e pote’ scattare una bella frotta di buone foto che oggi ritengo preziose e che pubblicheremo solo se saremo attenti a scavare con cura tra i varii metri cubi di faldoni e scatoloni pieni di foto e scottanti dossier caoticamente accumulati nei miei vari depositi e archivi, inutilmente chiedemmo nuovamente ai ministri di ordinare il rientro delle truppe irachene del Kuwait prima del lancio dei missili americani su Bagdad.

In risposta, il ministro iracheno Ramadan, allora vero numero due del regime iracheno, custode dei segreti di stato e responsbile dell’intelligence – poi ucciso barbaramente, come il ministro Al Saaf e molti altri e lo stesso Saddam, in conseguenza della invasione americana dell’Iraq con truppe e blindati per via di terra del 2003, attuata con il,pretesto della presenza di armi chimiche letali, poi mai trovate, nei depositi militari iracheni – ci convoc tutti per il pomeriggio del giorno dopo in una grande sala cittadina, dico tutti noi pacificatori volontariemente.offertisi quali scudi umani contro la guerra e appartenenti a decine di Paesi di tutto il mondo, e ci mostra carte segrete del dipartimento di stato americano che invitano gli iracheni a prendersi il kuwait, desiderio ancestrale dei sunniti iracheni dal tempo della divisione neocoloniale delle terre mediorientali voluto dagli inglesi al momento di mollare il loro ormai traballante impero. Un punto d’onore non rinunciabile espresso dai leader iracheni anche prima dell’ascesa di Saddam, un sogno da realizzare o, piuttosto, per cui rinunciare alla vita.

La mattina dopo ci caricarono a forza, generosamente, sull’ultimo aereo in partenza per Amman e la stessa notte e nei giorni e notti successive piovvero gli atroci missili americani devastando “collateralmente” scuole e mercati e osdali e abitazioni civili con scempio anche di donne e bambini sotto il boato dei missili, che non risparmiarono neanche i rifugi antiaerei stipati di povera gente, rifugi sventrati dai micidiali missili americani a doppia azione, prima perforanti e poi esplodenti dopo l’intrusione…

E noi, ex ostaggi e scudi umani miracolosamente scampati in Giordania gia’ predevamo i voli di linea per tornare, ognuno in un luogo diverso del mondo, finalmente a casa. Fummo per un soffio vivi e capaci di riferire ognjno alla propia o.n.g.(organizzazione non governativa) l’espeienza vissuta e l’analisi aggiornata del teatro mediorientale… al punto che, per esempio, grazie alla precedente mia esperienza, fui scelto dalla Lega per il Disarmo di nuovo, questa volta per portare a Bagdad, appena un mess dopo la guerra, in barba alle sanzioni ed alla no fly zone volute dagli americani, una bella camionata di medicine per i bambini feriti iracheni di ogni etnia, medicine che, arrivato a Bagdad, dopo un colloquio da me richiesto ed ottenuto con il ministro Al Saaf che tanto mi ammirava quando cantavo per i bambini nelle scuole prima della guerra, potei portare direttamente e personalmente, come sapete, tali medicine ovunque occorressero.

Chiudo ora questo mio personale dossier su chi volle e perche’ volle e preparo’ la terribile guerra che oggi si combatte, la terza guerra mondiale, iniziata con la cosiddetta “Guerra del Golfo” e, ancor prima, quando nel ’78 gli Usa in Afganistan appoggiarono in funzione antisovetica la guerrilla talebana di Ben Laden poi sfociata nel regime integralista del mullah Omar. Dossier che spero utile a cavarne ora con voi ogni dato utile a rafforzare la nostra azione pacificatrice di non collaborazione, di disobbedienza civile, di resistenza passiva alla guerra.

Una guerra catartica postmoderna, piu’ che mai psicologica, sempre piu’ allarmante per il mondo tutto e che, come un virus, si espande in modo sporadico in entrambi i campi dei combattenti usando, come terreno di coltura e veicolo di successiva espanzione sporadica, un substrato etico morale di tipo ideologico religioso, substrato di cui anche si alimenta, per poi improvvisamente manifestarsi ed orribilmente agire. Una guerra che consolida utili caposaldi, provvisori ma al momento irrinunciabili, di un impero ipotizzato come globale, anche se differente nell’aspetto e di apparente opposto segno, da chi questa guerra  ha voluto e attuato e spinto altri a fare.

Parlo di quel potere, a noi non piu’ nascosto, solo economico e per questo antidemocratico e inumano, che si giova dei due imperi ipotizzati e corre in questa fase a creare e rafforzare capisaldi geopoliticamente strategici, necessari allo stoccaggio delle armi e all’esistenza, in agibilita’ e relativa sicurezza, di centri decisionali relativi alla strategia ed alla tattica bellica, alla messa a punto di una adeguata psicologia ed all’uso dei media, alla programmazione di stragi, da altri in vario modo attuate, a fianco di altre suggerite in modo subliminale e anch’esse, di fatto, programmate poiche’ auspicate e inevitabili, in definitiva alla permanenza di quelle catene di comando necessarie al repermento di armi ed al loro uso bellico.

Vorrei, con nervi saldi malgrado l’orrore che di nuovo ci circonda, afferrare il bandolo pacificatore della intricata matassa degli eventi e, ben sapendo che non puo’ esservi pace per tutti benefica se non c’e’ vera giustizia, dirvi che l’unica cosa da fare e’ unirci nella disobbedienza civile per ottenere la giusta pace di cui il mondo necessita.

Questa guerra e’ iniziata venticinque anni fa con i crudeli ed inutili missili Usa su Bagdad. Stiamo vivendo e subendo una “strategia della tensione”, prima sperimentata localmente con gravissime conseguenze in singoli paesi, ora voluta ed attuata a livello gloobale per piu’ facilmente governare la mondializzazione del mercato delle merci, la certezza dei globali profitti nelle mani dei soliti pochi, la schiavitu’ degli umani ottenuta con la caduta dei diritti, senza neanche quel tetto e vestiti e cibo che gli schiavisti di un tempo, per tenerseli a lungo utili vivi e forti, offrivano ai loro schiavi.

A questo scellerato piano criminale – voluto ed attuato dall’oscuro potere finaniario mondiale – possiamo opporci con la disobbedienza civile, la non collaborazione, la resistenza passiva non violenta, lo sciopero delle tasse, con l’unita’ di intenti che ci collega e rafforza e rende capaci di cambiare modello di sviluppo e calcolo del Pil attraverso la produzione di beni non inquinanti e la assegnazione di terre agricole incolte, per vivere un corretto rapporto tra natura e cultura con un sorriso sulle labbra e nel cuore.

BUON LAVORO !

Pubblicato da pinomasi

selinunte, marinella di selinunte, comune di castelvetrano, provincia di trapani, regione sicilia, nazione italia, madre siciliana, padre pisano, nonno materno scultore liberty ed oratore socialista rivoluzionario, nonno paterno poeta futurista e fascista dalla marcia su roma fino alla fine di salò, scuole in sicilia fino alla quarta elementare, quinta elementare e scuola media a pisa, maestro d'arte diplomato all'istituto statale d'arte di pisa con la migliore media di voti del suo corso, poi - come pittore allievo di severa e purificato all'accademia delle belle arti di firenze - studia anche anatomia e storia dell'arte e, al contempo, aderisce alpotere operaio pisano che ruota attorno alle con/vers/azioni di sofri cazzaniga dellamea luperini e fonda con alfredo bandelli e lydia nissim ed altri il canzoniere pisano dando inizio alla nuova canzone popolare di lotta che caratterizzerà il movimento di antagonismo politico culturale per tutto un quindicennio caratterizzato dalle lotte sociali e dall'unità tra studenti e operai, unità che dava al movimento di allora la forza bastante a richiedere ed imporre al sistema di potere bipolare asssoluto filosovietico o filoatlantico di allora una alternativa indipendente di democrazia diretta, esempio temibile di questa forza fu per i potenti di allora l'autunno caldo del 1969 ed a questa forza da loro temuta risposero immediatamente con la strategia della tensione iniziata appunto con la strage di piazza fontana a milano del 12 dicembre 1969, strage di cui lo stato accusava gli anarchici e di cui invece pino, in piena sinntonia con la nascente lotta continua di adriano sofri e di mauro rostagno, accusava lo stato come mandante ed esecutore della strage attraverso i suoi servizi appositamente segreti, nasce così il canzoniere del proletariato e la collana dei dischi di lotta continua, nascono i circoli ottobre, nasce il film di pasolini sulla strage e nasce la distribuzione militante dei dischi e del film e dei concerti con il circuito culturale alternativo rappresentato dai circoli ottobre, ma la strategia della tensione attuata dal potere centrò comunque il suo principale scopo e cioè quello di spostare improvvisamente lo scontro col movimento antagonista dal livello prevalentemente culturale a quello prevalentemente militare, che non poteva che portare al soffocamento culturale del movimento...

2 Risposte a “Guerra ? PACE ! PACE ! PACE !”

    1. La cantava quando gli sembrò utile farlo, oggi non vive di nostalgie e non vuole medaglie da ex combattente, la canta per parlare e far meglio capire di quei tempi, ma ancora cerca e scopre ed offre strumenti non meno dirompenti, meno mitizzati ma sperimentatamente efficaci, per affrontare la terribile scena del presente… per farla breve, mia cara, credo stia cercando incidere nel presente invece di imprigionarsi da vivo nel museo delle cere per autocelebrarsi e vivere di rendita sulle vecchie glorie… riuscirà con i suoi nuovi brani ad essere utile nel presente come fu in passato? Lo spero per tutti: è sulla utilità sociale che poggia la validità di un cantastorie!

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